Il verbo fare (fèr) è usato nel nostro dialetto in
tanti modi di dire e proverbi, alcuni dei quali sono ricordati qui di seguito.
A fa la luna, La luna nuova inizia un nuovo periodo.
A fèr dal bèin a un
èsen l'è fàcil avér di chèlz, A far
del bene a un asino è facile ricevere dei calci. Come dire: "L'ignorante
non è mai riconoscente".
A fèr la limòsna a-n
s'va in miséria, A far l'elemosina non
si va in miseria.
A vèl piò un a fèr che
zèint a dir, Vale più uno che fa
che cento che dicono. È meglio agire che parlare. È analogo a A vèl piò un fat fat che zèint da fèr,
Ha più valore una cosa già fatta che cento ancora da fare. Come dire:
"Cosa fatta capo ha".
Al n'ha fat piò che
Mastréll, Ne ha fatte più di
Mastrilli. Ne ha fatte di tutti i colori. Giuseppe Mastrilli, a cavallo del
XVIII e XIX secolo, fu uno dei più feroci briganti calabresi. La sua fama di
patricida, rapinatore e stupratore giunse anche a Modena, dove venne
ingigantita dal burattinaio Giulio Preti, che lo fece diventare protagonista di
una delle sue commedie.
Al s'la fa e al s'la
dis, Se la fa e se la
dice. Espressione usata con chi fa e disfa senza chiedere consiglio.
Acsè a fàm prémma, Così ci decidiamo, una buona volta.
A-n fèr gnanch 'na piga, Non fare neanche una piega, restare impassibile.
A-n fèr la piva, Non fare la piva. Espressione con la quale ci si
rivolge a una persona noiosa.
A-n fèr ménga l'èsen, Non fare l'asino. Si dice in tono scherzoso a un
amico per farlo ravvedere da un comportamento sbagliato.
A-n me fa gnanch al
blàddegh, Non mi fa neanche il
solletico. Non lo prendo neanche in considerazione. Non mi fa paura, mi lascia
indifferente, non mi preoccupa.
A-n savér cuma fèr a
fèr gnir sìra, Non sapere come fare
a far venire sera. Si dice di chi non ha niente da fare.
A-s fa un brótt
invér(e)n st'istê, Si fa un brutto
inverno quest'estate. Espressione scherzosa per indicare che le cose si mettono
al peggio.
Bisàgna fèr mèl per a-n
fèr péz, Bisogna fare male per
non fare peggio.
Chi fa a sô môd al
scampa dés an de piò, Chi fa a modo suo
campa dieci anni di più.
Chi fa éd sô tèsta pèga
éd sô bórsa (saàca), Chi fa di proprio
testa paga personalmente.
Chi sa fèr de tótt, a
vól dir ch'a-n sa fèr gnint, Chi sa fare di tutto
vuol dire che non sa fare niente.
Dann e muradór i fan e
i desfàn la cà, Le donne, come i
muratori, una casa possono farla ma anche distruggerla.
Fam puvràtt, a dis la
vida, s't'vô ch'a-t faga récch, Fammi
povera, dice la vite al villano, se vuoi che ti faccia ricco. Come dire:
"Potami, perché possa crescere rigogliosa".
Fèr al bèch a l'òca, Fare il becco all'oca, concludere qualcosa che si
sta facendo.
Fèr al blàddegh ai
stivài, Fare il solletico
agli stivali. Significa fare una cosa inutile.
Fèr al ciài, Fare lo stupido per interesse.
Fèr al fùr(e)b pèr a-n
paghèr al dazi, Fare il furbo per non
pagare il dazio. Far finta di non capir per non pagare ciò che è dovuto. Si
racconta che quando la città aveva le mura e le gabelle del dazio a ogni porta
d'ingresso, un giorno i "padlòt",
le guardie daziarie che venivano chiamate così per le grandi padelle di braci
con cui durante l'inverno si difendevano dal freddo o per la forma del proprio
copricapo, fermarono un tale che presentava uno strano rigonfiamento sotto il
tabarro. Gli chiesero più volte cosa fosse quel gonfiore, ma lui rispondeva
sempre ripetendo la domanda che gli ponevano i gabellieri. Dopo un po' di
questa manfrina, uno di loro andò su tutte le furie gli intimò: "Al sèinta, bòun umàz, vól-el smàtter éd fèr al
fùreb per a-n paghèr al dazi", Senta, buon uomo, vuole smetterla di
fare l'asino per non pagare il dazio.
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