L’immagine più briosa e rossa del Lambrusco resta
immancabilmente legata alla figura di Gilles Villeneuve, alla sua Ferrari 126
C2 numero 27 e a quel maledetto 8 maggio 1982, all’ingresso del curvone di
Zolder. Una scritta bianca su fondo rosso campeggiava sulla tuta di Gilles
Villeneuve: Giacobazzi. Quegli anni eroici, sia del vino sia dell'automobilismo,
sono lontani e quasi dimenticati, le monoposto di F1 si sono costantemente
evolute e così anche il Lambrusco.
Gli anni ’80 hanno segnato la storia di un Lambrusco
commerciale, dall’incerta personalità organolettica, con incursioni anche in
versione bianca, persino in lattina e pubblicizzato come "soft red wine".
Per un certo periodo di tempo, il Lambrusco non ha goduto né di visibilità né di
stima nel mondo del vino italiano, che accarezzava palati la cui preferenza
andava a prodotti con concentrazione alcolica e muscolosità tannica, che avevano
creato uno stile di beva che solo da pochi anni sta cominciando a essere
rinnegato.
Il vino dal profumo di viola, però, non ha mai tradito
se stesso, perchè la tradizione produttiva e la sua variegata tipologia offrono
al consumatore una gamma che spazia dal Lambrusco chiaro come quello di qualche
tempo fa, con sapore fruttato, rinfrescante e piacevolmente acidulo, a quello dalla
sciropposità quasi densa con un gusto più robusto.
Questi due estremi mal si conciliano quando la
discussione è affrontata dai cultori dei differenti "terroir" della
vasta zona di produzione, ma non disturbano chi pensa al Lambrusco senza condizionamenti
enologici. Questo vino, infatti, ha finalmente trovato il consenso che merita,
s'è affrancato (magari l'avesse fatto prima) dall'affiancamento esclusivo alla
golosa e grassa cucina emiliana e ha raggiunto la filosofia dell'easy
drink.
Adesso i Lambruschi, sia chiari sia scuri, si
commentano per le differenze che li contraddistinguono, se ne cercano le
sfumature e le si riconduce alle diversità varietali. Sino a qualche anno fa,
queste analisi erano considerate dai presuntuosi puristi dell'enologia un
viaggio in barca a vela sulla luna.
Leggendo le lodi del Lambrusco su una rivista internazionale,
mi sono sorpreso che per anni lo sia creduto un vino bianco, frizzante e
amabile, di basso profilo enologico, poco più di una "bibita" rinfrescante,
da consumare soprattutto nella stagione dei grandi caldi. Il Lambrusco, invece,
è finalmente descritto oggi in maniera molto elegante sia dai sommelier, che
troppo a lungo l'hanno snobbato, sia dagli ascoltati guru dell'enologia
internazionale.
I commenti della rivista in
questione sono improntati alle sue più peculiari caratteristiche, quelle che
molti anni, troppi, sono stati considerati i suoi stessi punti deboli Ha colore
che seduce per la tinta rubino acceso e per la spuma violacea, che arreca tanta
felicità visiva. Il naso percepisce un persistente profumo di fragola e susina
rossa. Ha freschezza vivace, ma non asprigna, "acido"
e "amabile" nelle sue versioni principali. Il suo basso profilo
tannico aiuta a comporre un gusto morbido, vellutato, che non impedisce al vino
di riproporsi nella sua franchezza rinfrescante. Un Lambrusco così diventa "pericolosamente"
bevibile, ma ben bilanciato nelle proprie leggere e leggiadre complessità.
Questa descrizione organolettica ed emozionale stupisce
in positivo, perchè fino a qualche anno fa nessuno avrebbe potuto immaginare un
simile impatto mediatico internazionale. Da tempi non sospetti ho sempre
creduto e scritto che il rinnovamento cui il Lambrusco si è sottoposto dovesse
essere portato a conoscenza di tutti. Lo sforzo fatto da tante cantine, grandi,
medie e piccole, è stato apprezzabile e coraggioso. Il premio, dopo tanta
indifferenza, è che oggi è il vino rosso italiano più venduto nel mondo. Per
questa ragione mi sono sentito in dovere di evidenziarlo a tutto il mondo dei
bevitori del nostro nettare dal profumo di viola, scrivendo un libro intitolato
in maniera persino un po' provocatoria "La rivincita del Lambrusco".
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