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domenica 9 febbraio 2014

MODI DI DIRE DIALETTALI MODENESI (7)



Andèr in spèda.
Andare in spada. L’espressione risale ai tempi in cui non si indossava il mantello, perché, in caso di necessità, fosse più agevole snudare la spada che si portava al fianco. Oggi indica chi va in giro senza cappotto.

Andèr zò cun al brintlòun.
Andar giù con la brenta grande. Per “brèinta” s’intende un vaso a forma di gerla, portato a spalle, per trasportare vino e mosto. L’espressione significa: “Non avere riguardi”, “usare termini volgari”, “parlare in modo molto esplicito”. I “brintadór”, trasportando la brenta grande, capace di 75 litri, e destinata al vino di qualità più scadente, nel loro dialogare non usavano certo termini particolarmente raffinati, ma piuttosto grossolani e volgari. Da qui l’origine del modo di dire.

Ar∫àn da la tèsta quèdra.
Reggiano dalla testa quadrata. Secondo Alessandro Tassoni, che alla fine del canto IV de “La Secchia Rapita” (Ottave 65/66) dà una spiegazione burlesca di questo modo di dire, a rendere quadrate le teste dei Reggiani fu Marte a furia di scappellotti. L’origine, in reltà, è molto semplice: in ogni regione italiana, a causa delle rivalità campanilistiche, sono sempre state usate espressioni di dileggio nei confronti delle popolazioni vicine. A loro volta, infatti, i reggiani chiamano i modenesi “nu∫òun”, nocioni, per la presunta forma ovale (dolicocefala) del loro volto, che pari derivi da antichissime ascendenze etrusche. Alla stessa stregua, la conformazione cranica dei reggiani (brachicefala) trarrebbe spiegazioni da un insediamento in quella zona di tribù celtiche.

Atachê cun la còla garavèla.
Attaccati con la colla  colla ‘garavella’. Si diceva, un tempo, di due fidanzati o amici che erano sempre isieme. La “còla garavèla” era chiamata così perchè veniva usata per incollare il fasciame delle caravelle. Molto resistente, veniva detta anche “tedesca” (o cervona) perchè proveniva per la maggior parte dalla Germania dove era usata dai falegnami prima dell’impiego delle colle sintetiche. Era venduta in tavolette e si otteneva dal loro scioglimento a bagno-maria. Questa colla era ricavata dalla bollitura di cascami della lavorazione della carne animale, tendini, ossa e residui di pelle.

Avér al lat ai znòc’.  
Avere il latte ai ginocchi. Si dice quando si prova un senso di noia, di fastidio o di disturbo nei confronti di una persona, di una rappresentazione, di una predica o di un rimprovero. Il detto, probailmente, trae origine dal fatto che il latte che noi ingeriamo viene assorbito dal digiuno-ileo, la parte mobile dell’intestino tenue. Se una qualsiasi cosa è molto noiosa, dunque, essa avrebbe il potere di far scendere il latte dalla sede in cui normalmente viene assimilata fino alle ginocchia.

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