Andèr in spèda.
Andare in spada. L’espressione risale ai tempi in cui
non si indossava il mantello, perché, in caso di necessità, fosse più agevole
snudare la spada che si portava al fianco. Oggi indica chi va in giro senza
cappotto.
Andèr zò cun al brintlòun.
Andar giù con la brenta grande. Per “brèinta”
s’intende un vaso a forma di gerla, portato a spalle, per trasportare vino e
mosto. L’espressione significa: “Non avere riguardi”, “usare termini volgari”,
“parlare in modo molto esplicito”. I “brintadór”, trasportando la brenta
grande, capace di 75 litri,
e destinata al vino di qualità più scadente, nel loro dialogare non usavano
certo termini particolarmente raffinati, ma piuttosto grossolani e volgari. Da
qui l’origine del modo di dire.
Ar∫àn da la tèsta quèdra.
Reggiano dalla testa quadrata. Secondo Alessandro
Tassoni, che alla fine del canto IV de “La Secchia Rapita”
(Ottave 65/66) dà una spiegazione burlesca di questo modo di dire, a rendere
quadrate le teste dei Reggiani fu Marte a furia di scappellotti. L’origine, in
reltà, è molto semplice: in ogni regione italiana, a causa delle rivalità
campanilistiche, sono sempre state usate espressioni di dileggio nei confronti
delle popolazioni vicine. A loro volta, infatti, i reggiani chiamano i modenesi
“nu∫òun”, nocioni, per la presunta forma ovale (dolicocefala) del loro volto,
che pari derivi da antichissime ascendenze etrusche. Alla stessa stregua, la
conformazione cranica dei reggiani (brachicefala) trarrebbe spiegazioni da un
insediamento in quella zona di tribù celtiche.
Atachê cun la còla
garavèla.
Attaccati con la colla colla ‘garavella’. Si
diceva, un tempo, di due fidanzati o amici che erano sempre isieme. La “còla
garavèla” era chiamata così perchè veniva usata per incollare il fasciame delle
caravelle. Molto resistente, veniva detta anche “tedesca” (o cervona) perchè
proveniva per la maggior parte dalla Germania dove era usata dai falegnami
prima dell’impiego delle colle sintetiche. Era venduta in tavolette e si
otteneva dal loro scioglimento a bagno-maria. Questa colla era ricavata dalla
bollitura di cascami della lavorazione della carne animale, tendini, ossa e
residui di pelle.
Avér al lat ai znòc’.
Avere il latte ai ginocchi. Si dice quando si prova un
senso di noia, di fastidio o di disturbo nei confronti di una persona, di una
rappresentazione, di una predica o di un rimprovero. Il detto, probailmente,
trae origine dal fatto che il latte che noi ingeriamo viene assorbito dal
digiuno-ileo, la parte mobile dell’intestino tenue. Se una qualsiasi cosa è
molto noiosa, dunque, essa avrebbe il potere di far scendere il latte dalla
sede in cui normalmente viene assimilata fino alle ginocchia.
Nessun commento:
Posta un commento