Il gergo modenese è quel modo di esprimersi che, un tempo, era utilizzato per non farsi capire dagli altri, per mantenere la comunicazione
(i motivi erano diversi, a volte onesti ma altre un po’ meno) all’interno di
un gruppo ristretto. In genere, il gergo usciva dal carcere, dove la necessità
di non farsi capire se non dagli “amici” era fisiologica. C’è anche un gergo
degli zingari, che spesso, ancora oggi, si trasforma in segni lasciati sui muri delle case,
così come c’è un gergo malavitoso.
In altri casi, la derivazione è più
classica, come per “conquibus”. In genere, indica il denaro dovuto per un lavoro,
una mediazione o la conclusione di un affare. Si dice, ad esempio, “rivèr al conquibus”,
che significa “giungere alla fine di una trattativa o anche di un discorso”.
Deriva dal latino “cum quibus”, parole che danno inizio all’ultima parte del
“prefazio”. Il “prefazio”, nelle messe solenni, è un brano piuttosto lungo,
cantato dal celebrante, generalmente piuttosto vecchio, con voce chioccia e
monotona. Insomma, quando i fedeli sentono “cum quibus et nostras voces...”,
tirano un sospiro di sollievo, pensando che ormai la lunga orazione è finita.
Il profeta Habacuk |
Altre parole del gergo modenese derivano dal
tedesco, come "Spielen", da cui "spillare" (giocare,
soprattutto a carte, con in palio dei soldi) e "spiladór" (giocatore
incallito), o "Schlafen", dormire, da cui il nostro "andèr a
slòfen", andare a dormire. Un capitolo a parte meriterebbero le tracce, nel gergo modenese, del linguaggio ebraico e di quello
zingaresco. Segnalo solamente alcuni esempi: bernocài, occhiali; bacócch:
bacucco, rimbecillito, vecchio decrepito (è la pronuncia modenese del nome del
biblico Habacuk, l'ottavo dei dodici profeti minori, sempre raffigurato nelle
sembianze di un vecchio cadente); sagatèin, tormento, fastidio; badanài,
ciarpame, frastuono, contesa, povero diavolo (deriva dall'invocazione ebraica
"be adonài"; zebedèi, testicoli; salamelèch, salamelecchi (deriva
dall'ebraico "Shalom", saluto).
(continua)
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