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venerdì 24 gennaio 2014

MODI DI DIRE DIALETTALI MODENESI (3)

Eccoci alla terza puntata del nostro viaggio attraverso i più curiosi modi di dire dialettali modenesi. Mi piacerebbe sapere se c'è qualcuno che se li ricorda e se qualche volta li usa ancora.



Al pèr al vèin éd Grimèli.
Sembra il vino di Grimelli. L’espressione era usata quando veniva servito dall’oste vino di scadente qualità. Geminiano Grimelli (1802-1878), scienziato carpigiano di un certo valore che fu anche Ministro della Pubblica Istruzione prima del  governo provvisorio, durante l’allontanamento del duca Francesco V e poi del governo Farini nel 1859, è rimasto famoso per i suoi studi di chimica. Quando un parassita devastò i vigneti del Modenese, studiò una “ricetta” per preparare, senza l’uva, una bevanda che assomigliasse al vino. La scoperta ebbe diffusione anche fuori della nostra provincia e fu citata persino da Antonio Fogazzaro in “Piccolo mondo antico”. Grimelli, antesignano dei moderni enotecnici, mise a disposizione dei modenesi una bevanda rossa che sapeva di vino ma che era fatta con acqua, zucchero, tannino, acido tartarico, melassa e ghiande. Il “cocktail”, che veniva fermentato col lievito di pane, cercava di rimediare a un problema molto sentito che rischiava di provocare anche gravi tensioni sociali.

Me-t tolt per la serva ed Zoboli?
Si risponde in questo modo a che propone affari che prevedono grande ingenuità per essere accettati. Zoboli, infatti, era un vecchio avaro che aveva assunto al suo servizio una donna molto semplice col patto che tutte le sere, al termine del lavoro, lei giocasse a carte con lui, mettendo sempre in palio la paga ricevuta. Zoboli vinceva immancabilmente e così la serva lavorava per niente.

Fèr la figura éd Rebucci.
Fare la figura di Rebucci. L’espressione era molto usata in passato come sinonimo di “brutta figura, gaffe o magra”. Si narra che a un tale Rebucci, dignitario del duca e uomo alquanto presuntuoso, capitavano spesso spiacevoli contrattempi, causa di brutte figure che suscitavano l’ilarità generale. Pare che una sera, a corte, credendo di non essere visto, si fosse infilato nelle tasche dei pantaloni una grande quantità di cioccolatini di cui era molto ghiotto. Il duca, che era seduto davanti al camino, se ne avvide e chiamò vicino a sè il Rebucci, iniziando con lui una lunga conversazione su argomenti di nessuna importanza. Rebucci, per non arrecare offesa al duca, non poteva allontanarsi. Mentre questi parlava, il calore del fuoco sciolse i cioccolatini nelle tasche del dignitario i cui bianchi pantaloni cominciarono a colorarsi di marrone all’altezza delle cosce. Il personaggio ducale, accortosi che tutti lo guardavano sogghignando, poiché a causa del colore assunto dai pantaloni pensavano che gli fosse capitata ben altro incidente, si congedò di colpo dal duca, dicendo sottovoce: “Perdonate, maestà, se vado via, ma mi è accaduta una disgrazia!”

Al pèr l’umèin dal lóster. 
Sembra l’omino del lucido. In passato, il lucido per scarpe “Brill” era publicizzato dall’immagine di un omino, elegantemente vestito, che si rimirava le scarpe lucidissime. Il detto è tuttora usato per indicare le persone di bassa statura, che vestono in modo ricercato.

A óff.
A ufo, a scrocco, a sbafo, senza pagare. Il detto pare risalga ai tempi in cui venivano innalzate le grandi cattedrali, quando era concessa l’esenzione dal dazio ai materiali occorrenti per la loro costruzione. Carri e barche su cui viaggiavano questi materiali portavano ben visibile la scritta A.U.F. (“Ad Usum Fabricae”, “Per il cantiere”). È facile capire come quell’A.U.F., in bocca al popolo, sia diventato rapidamente sinonimo di scrocco, di sbafo, di qualcosa ottenuta senza pagare. Secondo il Tommaseo, invece, l’espressione risale a “Ex ufficio”, abbreviato in “ex ufo”, scritta che, un tempo, appariva sulle lettere dello Stato, le quali viaggiavano senza affrancatura.

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