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giovedì 30 gennaio 2014

MODI DI DIRE DIALETTALI MODENESI (5)

Eccoci qui con il nostro appuntamento settimanale. Buona lettura dialettale.



Andèr a óngia.
Andare a unghia. Si dice di chi è così povero da dover camminare scalzo, ma anche di chi, privo di un qualsiasi mezzo di trasporto, è costretto a muoversi a piedi.

Andèr cóme al treno dal cócc’.
Andare come il treno a spinta. L’espressione si riferisce a persone pigre, lente o malsicure nel camminare. Risale al 1883, quando a Modena venne inaugurata la linea ferroviaria per Sassuolo col famoso “treno dal cócc’”. Era un piccolo convoglio formato da alcune carrozze per passeggeri, precedute da un carro merci con la cabina per il manovratore. La spinta iniziale veniva data dai manovratori per mezzo di leve e stanghe. Al resto provvedevano il dislivello fra Sassuolo e Modena e il peso del treno. Il convoglio faceva due fermate, a Casinalbo e Formigine. Il buon esito dipendeva dall’abilità del conduttore, che non doveva frenare con troppo anticipo per non rendere necessario l’intervento di una locomotiva d’emergenza per continuare il tragitto. Come si può immaginare, questo treno fu motivo di parecchie battute umoristiche poichè spesso i passeggeri dovevano scendere a spingerlo. Famosa è rimasta l’avventura del 1913, quando il manovratore perse il controllo di ben undici vagoni, che arrivarono in stazione a Modena a gran velocità, arrestandosi con gran frastuono contro i respingenti di un binario morto. Solo per miracolo era stata evitata una sciagura: tutti i casellanti sul percorso erano stati avvisati telegraficamente e avevano potuto chiudere, appena in tempo, sbarre e cancelli dei passaggi a livello.

Fèr al fùreb per a-n paghèr al dazi.
Fare il furbo per non pagare il dazio. Far finta di non capire per non pagare il dovuto. Si racconta che, quando Modena aveva le mura e, accanto alle porte, le gabelle del dazio, un giorno i “padlòt”, le guardie daziarie (che venivano così chiamate o per le padellate di braci con cui d’inverno si difendevano dal freddo, o per la forma del copricapo che indossavano) fermarono un tale che presentava uno strano rigonfiamento sotto il tabarro. Gli chiesero ripetutamente che cosa portasse sotto il mantello, ma il tipo rispondeva sempre ripetendo le domande che gli rivolgevano i gabellieri. A un certo punto, uno di loro, irritato da quel comportamento, sbottò con queste parole: “Al scólta bèin, galantàm,  al gh daga mo’ un tài éd fèr al fùreb per a-n paghèr al dàzi”.

Fèls come él pistòl di ∫bérr.
Falso come le pistole degli sbirri. Si dice di chi è molto bugiardo. Il detto deriva dall’abitudine che avevano un tempo le guardie di polizia di portare nella fondina pistole di legno che servivano soltanto come deterrente contro i malviventi. Secondo un’altra interpretazione, le “pistole” false erano le monete d’oro e d’argento, coniate in epoca ducale,  che qualche furfante limava ai bordi per ricavarne polvere pregiata. Le pistole così limate, non avendo più il peso legale, divenivano di conseguenza “false”.

Andèr dèinter cun la patòuna.
Andare dentro con la scoppola, entrare a sbafo, passare senza pagare. Un tempo i ragazzi tentavano di entrare al cinema o allo stadio senza pagare. Approfittando della confusione all’ingresso, s’intruppavano in mezzo al pubblico pagante. Quando le maschere se ne accorgevano, rifilavano qualche leggera scoppola, ma, più spesso, con un sorriso accondiscendente, lasciavano entrare i giovani portoghesi. Il loro gesto, anzi, finiva per agevolare l’ingresso irregolare. Oggi l’espressione riguarda il portoghese istituzionale che gode di ingressi di favore al cinema, a teatro o allo stadio. Per estensione, anche chi ha superato un esame, o qualsiasi altra prova, a malapena, senza molto merito.

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