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sabato 18 gennaio 2014

QUANDO PER GRILLO L'ITALIA NON FACEVA RIDERE





Quest'intervista la feci nel 1979 a un giovane comico educato e quasi timido il quale si consolava affermando che in qualsiasi momento poteva ritirarsi e rimettersi a vendere biancheria da donna.

Oggi, dopo l’esilio televisivo per la famosa battuta contro i socialisti, si è preso la rivincita, dopo aver riempito le piazze, imposto il suo “vaffa” a politici di destra e di sinistra ed essere diventato, partendo da zero, il primo partito del Bel Paese. Da comico è diventato un politico che spacca in due il paese e porta in Parlamento un numero di deputati che rischiano di condizionare qualsiasi governo. Beppe Grillo l’ho intervistato a Concordia, nell’ottobre del 1979, quando l’allora giovane comico genovese non si sarebbe azzardato a “mandare” neanche il cameriere che ritardava a portarci il caffè. Intelligente, gentile, già baciato dal successo in tv, non lasciava supporre la grinta accumulata in tanti anni di dorato esilio. A vederlo oggi, ingrassato, ingrigito, sbraitare in ogni piazza e sbertucciare anche il pubblico che va ad ascoltarlo, mi sembra - se non il nonno - almeno lo zio del comico che incontrai oltre 30 anni fa, quando, per timidezza o educazione, dava del lei persino a chi l’intervistava. L’interesse sta in alcune risposte di Grillo, soprattutto se lette alla luce di quanto è accaduto. Come quando si lamenta che “sia difficile far ridere, perché l’Italia di spunti comici ne offre davvero pochi”…
Infagottato in un maglione più lungo di quanto servirebbe e in jeans più larghi di almeno due taglie, stento a riconoscerlo. È incollato alla tv, mentre attende di esibirsi in un piccolo music-hall di Concordia, nascosto nella Bassa ovattata di nebbia. Dalla pista arrivano i ritmi di un “liscio” sincopato, ballato da cloni di John Travolta col vizio della brillantina facile. Ci presentano frettolosamente e gli spiego subito perchè ho sfidato la nebbia: per un'intervista con la quale vorrei sapere tutto di lui, persino cosa e come mangia. Per un attimo resta perplesso, poi prevale il senso del comico e sbotta: "Erano anni che attendevo un'occasione così!"

Com'è Beppe Grillo?
“Come vuole che sia, in questo momento? Fan-ta-sti-co! Scherzi a parte, sono un professionista che ha avuto l'occasione di dimostrare cosa sa fare, nonostante sia duro far ridere con un'Italia che di spunti umoristici ne offre davvero pochi..."

Cosa fai davanti alla tv, a riguardare lo show che hai registrato in settimana e nel quale non ci possono essere errori?
“Di errori ne restano sempre. È l'unico modo per capire dove ho sbagliato o dove ho piazzato l'effetto giusto”.

Piazzato?
“Piazzato. Crede che non studi i tempi delle battute, il ritmo del monologo e le pause per consentire al pubblico di ridere?”

Credevo che tu sfuggissi alla norma. Sia dal vivo sia in tv, dai la simpatica sensazione d’improvvisare, che riscatta generazioni di comici scontati, prevedibili, ripetitivi.
“Dipende dal tipo di contatto che si crea col pubblico nei primi minuti, subito dopo essere uscito alla ribalta e avere scrutato l’enorme buio nel quale cerco di vedere quanti sono e soprattutto “chi” sono...”
L’avevo preso per uno spigliato, goliardico, disincantato improvvisatore, invece è il massimo del puntiglio professionale. Come ogni buon genovese, quello che fa, e che gli piace, lo fa con pervicacia. Mister Hyde aggressivo e grottesco nei panni di scena, diventa un tranquillo, quasi scientifico, mister Hyde in quelli di Giuseppe Grillo, nato a Genova nel 1949, professione cabarettista.

Non hai paura di essere arrivato in vetta troppo velocemente?
“Forse, ma è meglio cosi. Bisogna sapersi economizzare. E io, da buon genovese, in fatto d’economie non ho niente da imparare...”

In genere, cosa mangi?
Possibilmente piatti liguri. Di solito, salto l’antipasto perchè è inutile, passo direttamente al secondo, quel che avanza lo tengo per la cena e il caffè me lo faccio offrire...”

Perchè Genova, da sempre, è un’enorme fucina di gente di spettacolo?
“È una città “dura”. Se fai ridere a Genova sei bravo davvero. È come Napoli. Se piaci lì, puoi andare ovunque. Ci sono preoccupazioni, problemi. È un po’ una cartina di tornasole. C’è stato Govi, come a Napoli c’è Eduardo. Lo spettacolo è nell’aria, nei “bassi” come nei “carrugi”. Sono città coreografiche, dove si respira teatro. Là le “sceneggiate” che Mario Merola ha rispolverato, da noi le avventure di Giobatta Parodi, la vita del porto, gli aneddoti sulla proverbiale avarizia che, invece, è la realistica presa di coscienza che i soldi si sudano. Villaggio, Bindi, Tenco, De Andrè e gli altri sono nati come me. Se vai all'osteria, puoi sentire un cantautore o un comico bravissimo. Magari, una sera c’è anche un impresario e arriva la scrittura...”

È capitato così anche a te?
“La mia partenza è stata più banale. Facevo, e non rida, il venditore di biancheria intima per signora. In casa mia, gli attori erano considerati bestie rare. L’istinto, però, era più forte del timore della cattiva considerazione familiare. Facevo cabaret alla mia maniera, in un teatrino di Genova, L'instabile. Una sera, per caso, venne un impresario, che mi segnalò a qualcuno che allora contava...”

Hai appena detto d’aver cominciato diversamente dagli altri...
“Si, ma per la biancheria intima...”

Il tuo Pigmalione è stato Pippo Baudo...
“Fu l’unico, che dopo 6 anni di gavetta, mi volle a tutti i costi, l’unico della RAI a capire che bisognava rinnovare, che i comici erano sempre gli stessi, freschi come brioches stantie”.

Cosa rimpiangi dei vecchi tempi, quando eri ancora Giuseppe Grillo e non osavi nemmeno sognare che saresti diventato un comico di successo?
“Io non sono un comico, sono uno che cerca di far ridere, è molto diverso...”

Stavo chiedendoti se hai rimpianti...
“Sarebbe assurdo se dicessi che una volta stavo meglio. Ho lottato per conquistarmi un posto e ci sto riuscendo. Ricordo ancora con nostalgia, però, il pubblico dei teatrini dove ho cominciato. Oggi è diverso. In giro ne incontro di ogni tipo: a qualcuno la mia parentesi scoccia perchè gli impedisce di ballare, altro s’innervosiscono per l’indigestione di musica nell’attesa che cominci lo spettacolo. Non ho quasi mai, se non a teatro, un pubblico omogeneo, venuto tutto per me. Lo avevo nel teatrino di Genova. Era più stimolante, ma si trattava appena di 50 persone. Anch'io, forse, ero più vero. Adesso, c'è meno improvvisazione. Una volta in tv, durante un monologo, mi si è rotto il cinturino dell’orologio e, lì per lì, ho inventato una battuta per non bloccare la registrazione. Il regista, invece, ha voluto rifare tutto. Troppo perfezionismo”.

Tutti hanno un modello. Woody Allen ha detto che avrebbe dato tutto per girare un film coi fratelli Marx. Tu a chi ti sei ispirato?
“Non ho un modello, ma forse, inconsciamente, quando recito penso a Gilberto Govi, al quale qualcuno mi ha affettuosamente accostato. Chi mi ha impressionato di più fra i comici italiani degli ultimi anni è Walter Chiari, che è sempre stato il mio idolo. Adoro i suoi monologhi, la sua stringente dialettica, la sua carica di grande umanità, il suo casino verbale. Forse, mi ha un po’ contagiato, anche se la sua è una comicità diversa, un misto di vecchio e nuovo. A volte, mi pare di non essere nemmeno un comico, ma uno che racconta i fatti di tutti i giorni e fa ridere soltanto perchè è ridicolo ciò che accade. Roba da ridere proprio per non piangere”.

Hai paura di non mantenere il successo faticosamente guadagnato?
“A volte, poi penso che se ho sfondato è perchè piaccio alla gente. Di sicuro, quando capirò di non fare più ridere, smetterò da solo. Potrei sempre tornare a vendere biancheria da donna...”
L’intervista è finita. Il pubblico, fuori, lo aspetta. Mentre prendo posto in sala, vedo mister Hyde uscire dal buio del palco, entrare nel cono di luce dell’occhio di bue per diventare dottor Jekyll.


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