Quest'intervista la feci nel 1979 a un giovane comico educato e quasi timido
il quale si consolava affermando che in qualsiasi momento poteva ritirarsi e
rimettersi a vendere biancheria da donna.
Oggi, dopo
l’esilio televisivo per la famosa battuta contro i socialisti, si è preso la
rivincita, dopo aver riempito le piazze, imposto il suo “vaffa” a politici di
destra e di sinistra ed essere diventato, partendo da zero, il primo partito
del Bel Paese. Da comico è diventato un politico che spacca in due il paese e
porta in Parlamento un numero di deputati che rischiano di condizionare
qualsiasi governo. Beppe Grillo l’ho intervistato a Concordia, nell’ottobre del
1979, quando l’allora giovane comico genovese non si sarebbe azzardato a
“mandare” neanche il cameriere che ritardava a portarci il caffè. Intelligente,
gentile, già baciato dal successo in tv, non lasciava supporre la grinta
accumulata in tanti anni di dorato esilio. A vederlo oggi, ingrassato,
ingrigito, sbraitare in ogni piazza e sbertucciare anche il pubblico che va ad
ascoltarlo, mi sembra - se non il nonno - almeno lo zio del comico che
incontrai oltre 30 anni fa, quando, per timidezza o educazione, dava del lei
persino a chi l’intervistava. L’interesse sta in alcune risposte di Grillo,
soprattutto se lette alla luce di quanto è accaduto. Come quando si lamenta che
“sia difficile far ridere, perché l’Italia di spunti comici ne offre davvero
pochi”…
Infagottato in un maglione più lungo di quanto
servirebbe e in jeans più larghi di almeno due taglie, stento a riconoscerlo. È
incollato alla tv, mentre attende di esibirsi in un piccolo music-hall di
Concordia, nascosto nella Bassa ovattata di nebbia. Dalla pista arrivano i
ritmi di un “liscio” sincopato, ballato da cloni di John Travolta col vizio
della brillantina facile. Ci presentano frettolosamente e gli spiego subito
perchè ho sfidato la nebbia: per un'intervista con la quale vorrei sapere tutto
di lui, persino cosa e come mangia. Per un attimo resta perplesso, poi prevale
il senso del comico e sbotta: "Erano anni che attendevo un'occasione
così!"
Com'è Beppe Grillo?
“Come vuole che
sia, in questo momento? Fan-ta-sti-co! Scherzi a parte, sono un professionista
che ha avuto l'occasione di dimostrare cosa sa fare, nonostante sia duro far
ridere con un'Italia che di spunti umoristici ne offre davvero pochi..."
Cosa fai davanti alla tv, a riguardare lo show che hai registrato in settimana e nel quale non ci possono essere errori?
“Di errori ne
restano sempre. È l'unico modo per capire dove ho sbagliato o dove ho piazzato
l'effetto giusto”.
Piazzato?
“Piazzato.
Crede che non studi i tempi delle battute, il ritmo del monologo e le pause per
consentire al pubblico di ridere?”
Credevo che tu sfuggissi alla norma. Sia dal vivo sia in tv, dai la simpatica sensazione d’improvvisare, che riscatta generazioni di comici scontati, prevedibili, ripetitivi.
“Dipende dal
tipo di contatto che si crea col pubblico nei primi minuti, subito dopo essere
uscito alla ribalta e avere scrutato l’enorme buio nel quale cerco di vedere
quanti sono e soprattutto “chi” sono...”
L’avevo preso per uno spigliato,
goliardico, disincantato improvvisatore, invece è il massimo del puntiglio
professionale. Come ogni buon genovese, quello che fa, e che gli piace, lo fa
con pervicacia. Mister Hyde aggressivo e grottesco nei panni di scena, diventa
un tranquillo, quasi scientifico, mister Hyde in quelli di Giuseppe Grillo,
nato a Genova nel 1949, professione cabarettista.
Non hai paura di essere arrivato in vetta troppo velocemente?
“Forse, ma è
meglio cosi. Bisogna sapersi economizzare. E io, da buon genovese, in fatto
d’economie non ho niente da imparare...”
In genere, cosa mangi?
Possibilmente
piatti liguri. Di solito, salto l’antipasto perchè è inutile, passo direttamente
al secondo, quel che avanza lo tengo per la cena e il caffè me lo faccio
offrire...”
Perchè Genova, da sempre, è un’enorme fucina di gente di spettacolo?
“È una città
“dura”. Se fai ridere a Genova sei bravo davvero. È come Napoli. Se piaci lì, puoi
andare ovunque. Ci sono preoccupazioni, problemi. È un po’ una cartina di
tornasole. C’è stato Govi, come a Napoli c’è Eduardo. Lo spettacolo è
nell’aria, nei “bassi” come nei “carrugi”. Sono città coreografiche, dove si
respira teatro. Là le “sceneggiate” che Mario Merola ha rispolverato, da noi le
avventure di Giobatta Parodi, la vita del porto, gli aneddoti sulla proverbiale
avarizia che, invece, è la realistica presa di coscienza che i soldi si sudano.
Villaggio, Bindi, Tenco, De Andrè e gli altri sono nati come me. Se vai
all'osteria, puoi sentire un cantautore o un comico bravissimo. Magari, una
sera c’è anche un impresario e arriva la scrittura...”
È capitato così anche a te?
“La mia
partenza è stata più banale. Facevo, e non rida, il venditore di biancheria
intima per signora. In casa mia, gli attori erano considerati bestie rare.
L’istinto, però, era più forte del timore della cattiva considerazione
familiare. Facevo cabaret alla mia maniera, in un teatrino di Genova,
L'instabile. Una sera, per caso, venne un impresario, che mi segnalò a qualcuno
che allora contava...”
Hai appena detto d’aver cominciato diversamente dagli altri...
“Si, ma per la
biancheria intima...”
Il tuo Pigmalione è stato Pippo Baudo...
“Fu l’unico,
che dopo 6 anni di gavetta, mi volle a tutti i costi, l’unico della RAI a
capire che bisognava rinnovare, che i comici erano sempre gli stessi, freschi
come brioches stantie”.
Cosa rimpiangi dei vecchi tempi, quando eri ancora Giuseppe Grillo e non osavi nemmeno sognare che saresti diventato un comico di successo?
“Io non sono un comico, sono uno che cerca di
far ridere, è molto diverso...”
Stavo chiedendoti se hai rimpianti...
“Sarebbe
assurdo se dicessi che una volta stavo meglio. Ho lottato per conquistarmi un
posto e ci sto riuscendo. Ricordo ancora con nostalgia, però, il pubblico dei
teatrini dove ho cominciato. Oggi è diverso. In giro ne incontro di ogni tipo:
a qualcuno la mia parentesi scoccia perchè gli impedisce di ballare, altro
s’innervosiscono per l’indigestione di musica nell’attesa che cominci lo
spettacolo. Non ho quasi mai, se non a teatro, un pubblico omogeneo, venuto
tutto per me. Lo avevo nel teatrino di Genova. Era più stimolante, ma si
trattava appena di 50 persone. Anch'io, forse, ero più vero. Adesso, c'è meno
improvvisazione. Una volta in tv, durante un monologo, mi si è rotto il
cinturino dell’orologio e, lì per lì, ho inventato una battuta per non bloccare
la registrazione. Il
regista, invece, ha voluto rifare tutto. Troppo perfezionismo”.
Tutti hanno un modello. Woody Allen ha detto che avrebbe dato tutto per girare un film coi fratelli Marx. Tu a chi ti sei ispirato?
“Non ho un
modello, ma forse, inconsciamente, quando recito penso a Gilberto Govi, al
quale qualcuno mi ha affettuosamente accostato. Chi mi ha impressionato di più
fra i comici italiani degli ultimi anni è Walter Chiari, che è sempre stato il
mio idolo. Adoro i suoi monologhi, la sua stringente dialettica, la sua carica
di grande umanità, il suo casino verbale. Forse, mi ha un po’ contagiato, anche
se la sua è una comicità diversa, un misto di vecchio e nuovo. A volte, mi pare
di non essere nemmeno un comico, ma uno che racconta i fatti di tutti i giorni
e fa ridere soltanto perchè è ridicolo ciò che accade. Roba da ridere proprio
per non piangere”.
Hai paura di non mantenere il successo faticosamente guadagnato?
“A volte, poi
penso che se ho sfondato è perchè piaccio alla gente. Di sicuro, quando capirò
di non fare più ridere, smetterò da solo. Potrei sempre tornare a vendere
biancheria da donna...”
L’intervista è finita. Il pubblico, fuori,
lo aspetta. Mentre prendo posto in sala, vedo mister Hyde uscire dal buio del
palco, entrare nel cono di luce dell’occhio di bue per diventare dottor Jekyll.
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