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domenica 26 gennaio 2014

MODI DI DIRE DIALETTALI MODENESI (4)


San Gaetano

Ed ecco che continua il nostro viaggio attraverso i modi di dire in dialetto modenese.



A-m bala un òc’.
Mi balla un occhio. Il modo di dire si usa per affermare: “Sono incredulo”, “Diffido”. Ma c’è anche un’altra versione. Durante la campagna etiopica (1935/36), acquisì popolarità in Italia la parola “amba”, il nome con cui gli abissini chiamano i monti isolati con pareti a picco o dirupate e con sommità tabulare. A Bologna invalse la consuetudine di creare una terminologia scherzosa a proposito di questo vocabolo. Così, accanto ai nomi di monti e massicci realmente esistenti, come Amba Alagi e Amba Aradam, si idearono nomi di fantasia, appunto come “Amba Lunòc’”. L’espressione, diversamente frazionata, sarebbe entrata in uso anche a Modena col significato di cui si è detto.

Avér al pòrch a l’òra. 
Avere il maiale all’ombra (al coperto), nel porcile. L’espressione significa: “Essersi sistemato bene”. Un tempo, chi possedeva un maiale era fortunato perchè, almeno per un anno, aveva risolto il problema del cibo. Nel periodo invernale, infatti, l’uccisione del suino (“la pcarìa”) avrebbe riempito la dispensa di carne fresca e da trasformare in salumi. Oggi, il modo di dire ha assunto anche altri significati. Si può dire di chi sposa una persona facoltosa, o di chi vince una grossa somma e risolve i propri problemi economici per tutta la vita.

I dû d’agàst.  
I due d’agosto. È un’espressione scherzosamente triviale che si riferisce ai testicoli. Le interpretazioni sono almeno tre. La prima. Si dice che, anticamente, in quella data, considerata la festa degli uomini vigesse l’usanza di infiocchettarsi i genitali. Altri sostengono che l’espressione derivi dalla corruzione fonetica dell’ordine, dato dai comandanti della guarnigione francese di stanza a Modena, alla fine del 18° secolo, ai cittadini arruolati in fretta. Questi, non essendo militari di professione, non sapevano come comportarsi nell’indossare le aderenti braghe della divisa napoleonica e ognuno portava i testicoli, a destra o a sinistra, secondo la propia abitudine. Quando i soldati erano schierati, il loro aspetto offriva uno spettacolo non propriamente marziale. L’ordine, quindi, fu quello di portare sempre i “deux a gauche”, “i due a sinistra”. La frase (che in dialetto modenese suonava “I dû a gòsc’ “) venne rapidamente deformata in “I dû d’agàst”. E così è giunta fino a noi.

A-n basta gnanch l’óv éd l’Asceinsa.
Non basta neanche l’uovo dell’Ascensione. L’espressione è usata sia quando una malattia è giunta alla fase terminale, sia quando un affare sta per andare a rotoli. Il modo di dire deriva dalla credenza che le uova di gallina deposte il giorno dell’Ascensione possano essere conservate a lungo e siano la panacea per tutti i mali. Per questa ragione c’è ancora chi segue la tradizione di tenerle in serbo per usarle nei casi più gravi.

A-n còunta gnanch l’aqua éd San Ghitàn.
Non conta neanche l’acqua di San Gaetano. L’espressione significa: “Non c’è più rimedio”. Un tempo, il giorno di San Gaetano (7 agosto), i modenesi andavano nella chiesa di San Vincenzo a bere l’acqua, miracolosa per la gola, attinta da un pozzo che era stato incorporato alla chiesa durante la ricostruzione del 1617. La fonte era vicino all’altare di San Gaetano e dal santo aveva preso il nome.

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